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Trappeto, beni confiscati alla mafia non utilizzati dal Comune: “Mancano i fondi”

Quattro beni confiscati alla mafia e assegnati al Comune di Trappeto oggi ridotti quasi tutti a poco più che un rudere. Solo una parte di questi beni è utilizzato, tutti gli altri (sono quattro) sembrano essere finiti nel dimenticatoio. Motivo? Non sono mai stati utilizzati e quindi ristrutturati. Dal Comune si giustificano parlando di “mancanza di fondi” per poter dare alla collettività la fruizione di questi edifici. Due per l’esattezza si trovano in contrada Puma ed erano immobili un tempo di proprietà di Antonino Zacco, detto “Nino il Bello”.

Arrestato negli anni ’90, nell’ambito dell’inchiesta “Duomo Connection” e riguardante l’infiltrazione mafiosa a Milano, venne per questo condannato a 25 anni di carcere. Chiamato il sommelier, per la sua capacità a riconoscere le droghe, il boss è stato uno dei gestori, negli anni ’80, della raffineria di eroina di Alcamo controllata dalla mafia. Uno di questi due beni, una villa unifamiliare a due elevazioni e con terreno annesso (nella foto), ero stato destinato a un progetto per “servizi di assistenza in favore delle persone affette da disabilità intellettive e relazionale orientata alla crescita armonica della personalità e allo sviluppo di persone non autosufficienti”.

Ammesso a finanziamento nel 2014 per la sua ristrutturazione alla fine non se n’è fatto più nulla. Un altro bene è ubicato invece nella località di San Cataldo, tristemente famosa per l’eccessivo abusivismo edilizio e per la presenza di un tratto di costa totalmente inquinato. Il Comune qui ha a disposizione un’altra villetta a due elevazioni fuori terra e con uno scantinato, un tempo di proprietà di Vittorio Molfettini, condannato negli anni ’90 per usura ed estorsione, e proprietario del gruppo finanziario Vitjnvest.

Infine tra i beni a disposizione figura anche un’unità immobile a un’elevazione fuori terra e con annesso un magazzino in piazza Madonna di Fatima. Questo bene è l’unico ad essere utilizzato, anche se solo in parte. Recentemente è diventato “Museo del mare”, grazie ad un finanziamento con fondi europei per il tramite del Gac Golfi di Castellammare e Carini. Ad essere ristrutturato una parte del bene ampia all’incirca 250 metri quadrati, l’altra parte invece resta vuota.

L’immobile in questo caso era di Matteo Giovanni Bologna, condannato inizialmente per aver fatto parte di un’associazione dedita al traffico internazionale di sostanze stupefacenti tra l’Olanda, il Belgio, la Germania e la Sicilia. Pena poi dimezzata a 10 anni nel 2015 e derubricata a spaccio.

In tutti i casi la giunta guidata dal sindaco Santo Cosentino, che ha in questi giorni approvato la ricognizione di tutti i beni a propria disposizione, ha evidenziato l’impossibilità al loro utilizzo per “mancanza di fondi necessari per l’adeguamento degli edifici e la loro messa a norma”.