CRONACA

Castellammare del Golfo, cade appartenenza alla mafia ma resta l’estorsione: 4 condanne

Nessuna appartenenza a Cosa nostra ma la loro condotta ha sicuramente favorito la mafia locale. Questa in estrema sintesi la tesi del tribunale di Trapani che ha condannato gli imputati che furono coinvolti nell’operazione “Cemento del Golfo” scattata tra Castellammare del Golfo e Alcamo nel marzo del 2016.

Ad essere emersa nelle prime battute dell’indagine una sorta di patto tra quello che veniva definito il boss castellammarese Mariano Saracino, 71 anni, l’imprenditore alcamese Vincenzo Artale, 66 anni, e diversi altri fiancheggiatori accusati di aver messo in piedi un sistema che imponeva l’acquisto del calcestruzzo alle ditte edili. La pena più alta è stata inflitta a Saracino, 10 anni e 2 mesi; 8 anni e mezzo a Martino Badalucco, 37 anni, e 8 al padre Vito, 62 anni, entrambi di Castellammare del Golfo; 3 anni invece per Artale.

Molto più alte erano state le richieste dell’accusa: dai 22 ai 14 anni di reclusione. Vincenzo Artale in particolare è stato riconosciuto colpevole solo di un episodio estorsivo ai danni di un imprenditore ma anche per lui è stata riconosciuta l’aggravante di aver favorito Cosa nostra. Ha dell’incredibile la sua parabola discendente: in passato infatti il 66enne era stato anche presidente dell’associazione Antiracket di Alcamo.

In questa retata finì anche Vito Turriciano, 72 anni, anche lui di Castellammare, l’unico a chiedere il rito abbreviato e condannato in via definitiva in Cassazione a 12 anni. Riconosciuti anche danni alle parti civili che quindi dovranno essere risarcite: tra queste il Comune di Castellammare del Golfo, l’associazione Castello Libero Onlus di Castellammare, l’associazione Antiracket e Antiusura Alcamese, il Centro studi Pio La Torre, Sicindustria, l’Associazione Libero Futuro di Palermo e la Parisi Vito srl.

Secondo quanto appurato dalle indagini il sistema criminale che si era creato imponeva che tutti dovevano comprare il calcestruzzo dall’impresa di Artale. Chi non lo faceva finiva nei guai: prima gli avvertimenti, poi i danneggiamenti. A capo di questo sistema di intimidazioni c’era Saracino, in passato già condannato per associazione mafiosa e che recentemente aveva finito di scontare la sua condanna.

Un’operazione scaturita a seguito di una recrudescenza di attentati intimidatori ai danni di operatori economici a cavallo tra Alcamo e Castellammare del Golfo e che è durata tre lunghi anni. Molti imprenditori, secondo la ricostruzione degli inquirenti, venivano perseguitati con danneggiamenti alle proprie aziende se non acquistavano il cemento da chi veniva espressamente indicato.
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