Normativa sul CBD: tra Italia e Unione Europea

Ultimamente la Cannabis a base esclusivamente di CBD, cosiddetta “light”, è in Italia oggetto di dibattito politico. In realtà non è mai stato un tema esente da dispute, ma attualmente sta attirando ancora di più l’attenzione dell’opinione pubblica.

In un panorama così effervescente è difficile capire cosa realmente prescriva la legge in materia. Le tante attività di commercio di Cannabis light sono legali o no? Chi acquista CBD online su Justbob o sugli altri shop del settore della canapa può dormire sonni tranquilli?

E cosa sta succedendo al riguardo negli altri Paesi dell’Unione Europea? Cercheremo di rispondere a queste domande analizzando gli ultimi sviluppi in ambito europeo e ricostruendo i punti principali della normativa italiana sulla canapa light.

Il caso giudiziario che ha rivoluzionato l’Europa

Il 2020 ha conosciuto un’assoluta novità nel panorama legislativo europeo sulla canapa light.

La Corte di Giustizia europea ha infatti stabilito che nessuno possa vietare la circolazione di prodotti a base di CBD all’interno dell’Unione Europea. Ciò significa che, quando prodotto all’interno dell’Unione e secondo le sue normative, il CBD può essere commerciato liberamente a prescindere dalla legislazione dei singoli Paesi.

La decisione è stata presa in seguito a una causa legale che ha visto al banco degli imputati i dirigenti di KanaVape, un’azienda francese che commercia prodotti per lo svapo. In particolare si accusava l’azienda per la vendita di liquidi per e-cig al CBD.

Per la legge francese l’estrazione di cannabidiolo è consentita solo a partire da semi di canapa mentre il prodotto in questione era ottenuto a partire dalle infiorescenze.

Nonostante siano stati inizialmente riconosciuti colpevoli, la Corte europea ha ribaltato la sentenza in quanto violava la libera circolazione di beni all’interno dell’UE. Il liquido era infatti prodotto in Repubblica Ceca, una nazione dove l’estrazione dalle infiorescenze è perfettamente legale, e dunque non infrangeva nessuna norma.

In sostanza, quando un articolo sia prodotto da un Paese dell’UE nei termini di legge del Paese stesso, la vendita è libera in qualunque altro Stato membro dell’Unione.

Questa decisione storica procede in linea con la generale liberalizzazione che si sta avendo a livello mondiale anche a seguito del riconoscimento di proprietà terapeutiche al CBD.

A tal proposito, nel 2019 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sostenuto la rimozione della Cannabis dalla lista delle “sostanze particolarmente dannose e di valore medico o terapeutico estremamente ridotto” per inserirla tra le “sostanze con valore terapeutico e con basso rischio di abuso”.

Per quanto riguarda la legislazione dei singoli Paesi europei, possiamo dire che di norma non presentano grandi differenze l’uno dall’altro.

In linea di massima consentono tutti la produzione e la vendita di Cannabis light, ovvero a basso tenore di THC e contenente principalmente CBD.

Tuttavia si differenziano in base alla tolleranza nei confronti dell’utilizzo delle infiorescenze della pianta e del loro consumo. Nello specifico, le nazioni più permissive al riguardo sono Paesi Bassi, Germania, Svezia e Polonia.

Altre, come l’Italia, sono ancora caratterizzate da una normativa poco chiara che lascia spazio a tanti dubbi e zone d’ombra.

CBD: e in Italia come funziona?

Nel nostro Paese la coltivazione della Cannabis light è in linea di massima legale, ed è disciplinata dalla legge n. 242/2016.

Questa norma prevede che la canapa possa essere cresciuta solo quando il suo contenuto in THC sia inferiore allo 0,2% e indica diverse destinazioni d’uso della pianta tra cui:

  • uso alimentare;
  • produzione di fibre;
  • produzione di olii e carburanti;

Detto così si potrebbe pensare che, quando rientri nei limiti di THC indicati, la produzione e il commercio della canapa a base di CBD sia perfettamente legale in ogni sua forma e per qualsiasi tipo di utilizzo.

Tuttavia non è esattamente così, a causa di 2 particolari buchi presenti nella normativa.

Innanzitutto la legge 242/2016 non specifica quali parti della pianta possano essere lavorate e quali no, dunque non esclude le infiorescenze, raccolte prevalentemente per l’uso ricreativo. Ma nemmeno lo ammette esplicitamente, se non fosse che cita il florovivaismo che tecnicamente comprende la vendita di fiori (“leggi infiorescenze”) recisi

Inoltre non si fa alcun accenno allo scopo del suo acquisto, non vietando ciò che è il vero pomo della discordia, vale a dire il suo consumo a scopo ricreativo.

Per entrambe le mancanze della legislazione, il buon senso farebbe pensare che ciò che non viene esplicitamente vietato sia consentito.

Purtroppo in Italia non funziona così. In un Paese dove la morale e il “buon” costume dominano il dibattito pubblico, è necessario specificare la liceità di un’azione per poterla compiere senza rischi giudiziari.

I “buchi” di cui abbiamo parlato vengono di volta in volta riempiti dai magistrati che seguono i singoli casi, con risultati talvolta totalmente opposti l’uno dall’altro.

In conclusione

Abbiamo illustrato come stia mutando il panorama legislativo europeo sulla Cannabis e come l’Italia, come spesso capita, sta rimanendo indietro.

La normativa non è al passo coi tempi e presenta delle lacune inaccettabili.

Per questo ci troviamo in questa situazione, con tante aziende che si occupano di Cannabis light e agiscono nel rispetto della legge e che tuttavia rischiano di subire la discrezionalità del giudice di turno.

Per il bene di queste aziende, ma anche dei tanti consumatori, attendiamo che il Bel Paese si adegui al rapido passo dell’Unione Europea.

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