CRONACA

Mafia, arrestato il padrino di Resuttana

È l’uomo dei misteri di Cosa nostra, uno dei boss che avrebbe voluto ammazzare il magistrato Antonino Di Matteo, il capomafia specializzato negli investimenti. Ma è soprattutto, dicono gli investigatori del Nucleo speciale della Polizia valutaria della Guardia di finanza, il nuovo capo mandamento di Resuttana.

In carcere ci torna dopo pochi mesi. C’era già finito nel giugno scorso nell’ambito del blitz Apocalisse, ma era stato rimesso in libertà dal Tribunale del Riesame. Allora veniva indicato come un affiliato del clan e il grande regista dell’affare delle macchinette video poker piazzate nei locali di mezza città. Una volta finita di scontare la pena, nel 2012, era tornato nel giro con l’obiettivo di fare soldi. Le nuove indagini, però, lo piazzano al vertice del mandamento. Da qui il fermo disposto dal procuratore aggiunto Teresi e dai sostituti Del Bene, Luise, Picozzi e Scaletta.

Su di lui convergono le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, Sergio Flamia di Bagheria e Vito Galatolo dell’Acquasanta. Il primo di lui sa che è stato il grande investitore dei soldi dei Madonia, il secondo ne racconta la scalata al potere nei minimi dettagli. E lo tira in ballo nella vicenda del progetto di morte contro il pubblico ministero Di Matteo. Racconta che in un incontro del 2012 furono Lui, Graziano, Alessandro D’Ambrogio (capomafia di Porta Nuova) e Girolamo Biondino (capo a Dan Lorenzo) a leggere la lettera di Matteo Messina Denaro. Da Castelvetrano arrivò  l’ordine di organizzare l’attentato “perché il dottore Di Matteo stava andando oltre e ciò non era possibile anche per rispetto ai vecchi capimafia che era detenuti”. I boss fecero la colletta per comprare duecento chili di esplosivo in Calabria. E così gli uomini della Valutaria stamani, assieme ai finanzieri del comando provincial e ai vigili del fuoco hanno perquisito magazzini e anfratti nella zona dell’Acquasanta a cominciare da vicolo Pipitone, roccaforte dei Galatolo da dove partivano in passato i killer per gli omicidi eccellenti. Da qui si mossero per ammazzare Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa e Ninni Cassarà.

Ecco come racconta la vicenda Vito Galatolo: “Io mi impegnai con 360 mila euro, mentre le famiglie di Palermo Centro e San Lorenzo con 70 mila. Biondino definì l’acquisto dell’esplosivo dalla Calabria e dopo l’arrivo a Palermo dopo circa due mesi dalla riunione, fu affidato a Vincenzo Graziano. L’esplosivo, che vidi personalmente in occasione di una mia presenza per un processo a Palermo, era conservato in dei locali all’Arenella”. I locali erano di Graziano, così come la villetta nelle campagne di Monreale dove poi l’esplosivo sarebbe stato spostato. “Il progetto dell’attentato – aggiunge Galatolo – non è mai stato messo da parte, una volta nel parlai con Vincenzo Graziano all’interno del Tribunale ed avevamo pensato di posizionare un furgone nei pressi del Palazzo di Giustizia ma non ritenemmo di procedere perché ci sarebbero stati troppo morti. Pensammo anche – aggiunge il dichiarante -, data la disponibilità della famiglia di Bagheria di valutare se procedere in località Santa Flavia luogo dove soesso il dottore Di Matteo trascorreva le vacanze estive”.

Gli incontri furono due, quello decisivo il 9 dicembre 2012. Così lo ricostruisce sempre Galatolo: “Mi venne a prendere Onofrio Lipari, detto Tonino, uomo d’onore della famiglia di Palermo Centro, e di recammo nel quartiere Ballarò in un appartamento all’ultimo piano. Lì c’era Alessandro D’Ambrogio, Massimo Contino, capofamiglia di Partanna Mondello, Silvio Guerrera, capofamiglia di Cardillo e successivamente ci raggiunge Girolamo Biondino. Ricordo che vi era anche Vincenzo Graziano. Uno dei motivi per cui era stata indetta la riunione era di presentarmi agli altri appartenenti a Cosa nostra. Successivamente avvenne la riunione in cui si discusse dell’attentato al dottore Di Mateo cui presenziammo oltre a me, Biondino, D’Ambrogio e Graziano”.

Dunque, Graziano avrebbe partecipato alle fasi preparatorie dell’attentato dall’altro della sua autorevolezza di capo mandamento. Aveva peso il posto di Galatolo stesso che aveva sostituito Giuseppe Fricano, l’insospettabile meccanico con officina in via Libertà che, secondo il neo collaboratore, era stato sponsorizzato da Alessandro D’Ambrogio, allora uomo forte non solo a Porta Nuova ma in una parte della città. Fricano aveva l’appalto per riparare le macchine delle forze dell’ordine. Non si poteva tenere un capo, dissero i boss, che camminava con la macchina degli sbirri.
Di Riccardo Lo Verso (LIVESICILIA)