CRONACA

Alcamo, operazione antimafia “Pionica”: scena muta davanti al gip anche dei fratelli Nicastri

Scena muta davanti al Gip da parte degli arrestati nell’ultima retata antimafia che ha preso spunto dall’operazione “Pionica” che ha portato a 12 arresti, tra cui i fratelli alcamesi Vito (nella foto a sinistra) e Roberto Nicastri (a destra), e al figlio del capomafia di Calatafimi Girolamo Scandariato, oltre che diversi presunti esponenti delle famiglie mafiose di Vita e Salemi. Unico ad avere risposto alle domande del giudice per le indagini preliminari, secondo quanto riporta il Giornale di Sicilia, è stato Melchiorre Leone, 59 anni, agronomo di Vita.

Per il resto tutti hanno preferito stare in silenzio mentre i loro legali stanno già preparando le richieste di scarcerazione al tribunale del Riesame. In particolare è emerso il ruolo centrale di Vito Nicastri che, secondo l’accusa, avrebbe addirittura finanziato la latitanza di Matteo Messina Denaro, il padrino di Cosa nostra che ha fatto perdere tracce di sè dal 1993. Nicastri, 61 anni, “il signore del vento” come lo definì alcuni anni fa il Financial Times, è stato arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.

Le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Palermo stringono il cerchio attorno alla rete di complicità che continua a proteggere il capomafia condannato all’ergastolo per le stragi di Roma, Milano e Firenze del 1993. Il blitz dei carabinieri del comando provinciale di Trapani, del Ros e della Dia ha portato in carcere per l’appunto 12 persone ritenute appartenenti alle famiglie mafiose di Vita e Salemi. Dalla ricostruzione degli inquirenti i nuovi colonnelli del superlatitante sul territorio sarebbero Salvatore Crimi e Michele Gucciardi, ma anche altri gregari, piccoli e grandi, erano gli snodi dell’organizzazione di Messina Denaro. A venire fuori soprattutto il fatto che la mafia trapanese continua a cercare buoni investimenti.

L’ultimo progetto puntava a realizzare un’innovativa piantagione di alberi di Paulownia. L’imprenditore boss Girolamo Scandariato aveva anche trovato i 22 ettari su cui realizzare l’affare, un grande appezzamento della famiglia del senatore Antonio D’Alì. A trattare i dettagli dell’affitto del terreno arrivò direttamente proprio l’ex sottosegretario al ministero dell’Interno. Un video dei carabinieri del nucleo investigativo ha immortalato l’incontro, il 5 settembre 2014: diventerà presto un altro elemento a sostegno della richiesta di soggiorno obbligato avanzata dalla Procura per l’esponente politico ritenuto “socialmente pericoloso”.

D’Alì non risulta indagato nella nuova indagine, ma Scandariato è stato arrestato. Un’inchiesta che si fonda anche sulle parole di Lorenzo Cimarosa, il cugino acquisito di Messina Denaro che cinque anni fa ha deciso di rompere con la sua famiglia dopo essere finito in manette. Ha parlato di una “borsa piena di soldi” consegnata da Nicastri a quanto pare per sostentare la latitanza di Messina Denaro.

In quella borsa “piena di soldi” c’erano i guadagni di un grande vigneto che Nicastri aveva comprato a un’asta giudiziaria, un terreno degli eredi dei cugini Nino e Ignazio Salvo, un tempo potenti colletti bianchi di Cosa nostra, oggi i loro parenti sono vittime di estorsione. Avrebbero voluto espiantare i vigneti e utilizzarli in un altro fondo, ma i boss lo impedirono, con una visita dal tono minaccioso.