CRONACA

Alcamo, insulti ad ex consigliere comunale su facebook: due citazioni dirette a giudizio

Costa caro a due alcamesi alcuni pesanti commenti fatti su facebook nei confronti dell’allora consigliere comunale Antonio Nicolosi (nella foto). Entrambi sono stati citati direttamente a giudizio. Per entrambi l’accusa formulata dal pm Sara Morri è di “diffamazione” per aver definito l’esponente dell’assise “merda”. Ad essere stati citati a giudizio un uomo, C.L. di 46 anni, e una donna, R.M. di 52 anni. L’udienza è stata fissata per il prossimo 4 febbraio ma per quella data non ci sarà sicuramente il 46enne.

Ha infatti concordato, una volta avuta la citazione diretta, con l’ex consigliere il pagamento di una sorta di risarcimento danni pari a 3 mila euro per la remissione della querela. La vicenda è accaduta a ridosso delle ultime elezioni amministrative di Alcamo del giugno 2016. C.L. ha postato su facebook un link di Youtube con un filmato che ritraeva l’allora senatore Nino Papania che era a fianco proprio della candidatura al consiglio di Nicolosi alle elezioni del 2012. A corredo del post sul social network il 46enne scrisse: “La merda che sponsorizza altra merda”.

Seguirono alcuni commenti, tra cui quello di R.M. dello stesso pesantissimo tenore: “Infatti piove per togliere la merda che aleggia su Alcamo”. Il pm Morri nell’atto di citazione diretta sostiene che con tali frasi su facebook, che è un potente social network che veicola i vari messaggi che vengono pubblicati, sarebbe stata “offesa la reputazione di Nicolosi”.

Quel video fece molto parlare di sè tanto da essere acquisito al processo per voto di scambio in cui fu inquisito proprio Nicolosi e condannato in primo grado ad un anno e 8 mesi. Un video in cui già si parlava del presunto scandalo della compravendita di voti per quelle elezioni amministrative del 2012.

Si parlò di pacchi di pasta e altri doni che sarebbero stati dati a gente indigente in cambio per l’appunto del voto. Nicolosi però ha continuato a professare la sua innocenza tanto che è stato uno dei pochi imputati che per quel processo chiese il rito ordinario e non l’abbreviato che gli poteva garantire lo sconto di un terzo della pena.
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