CRONACA

Alcamo marina, frana del 2009: fu abuso edilizio, condanne risarcimenti per oltre 200 mila euro. Comune “assolto”

La frana del 2009 di Alcamo marina ha adesso le sue cause accertate. Non furono gli “eventi meteorologici straordinari” a far collassare la collinetta con un agglomerato di una decina di abitazioni, tutt’oggi ancora dichiarate non agibili dal Comune, ma è stata la mano dell’uomo. Colpa quindi dell’abusivismo edilizio che ha determinato quello che poteva essere un disastro e che solo per casualità non ha provocato vittime 9 anni fa.

Il tribunale civile di Trapani, in primo grado, ha condannato tre persone, due uomini e una donna tutti alcamesi, ad un cospicuo risarcimento danni a favore dei proprietari delle 6 abitazioni. Per l’esattezza M.L., R.F.L. e G.V.A. dovranno risarcire qualcosa come oltre 200 mila euro per i danni provocati, oltre che pagare anche le spese legali del dibattimento processuale.

Secondo quanto sentenziato dal giudice Daniela Galeazzi, M.L. e R.F.L. in quanto hanno apportato negli anni diverse modifiche al loro immobile senza però alcuna autorizzazione del Genio civile provocando sbancamenti di terreno che poi sarebbero stati la causa della frana; G.V.A. invece ha deviato il canale di scolo, comportando un’alterazione del suo deflusso e anche questo avrebbe determinato pesantemente il disastro.

Escono di scena invece il Comune di Alcamo e la compagnia assicurativa Generali: il municipio non avrebbe avuto colpe dirette per quanto accaduto, mentre l’agenzia non deve risarcire nulla in quanto le coperture assicurative stipulate sugli immobili non prevedevano eventi come frane, smottamenti o cedimenti. In particolare, sulla base delle perizie tecniche che sono state portate avanti nel corso della causa, è emerso che M.L. e R.F.L. avevano realizzato una piscina, un muro di contenimento in calcestruzzo armato, nuove pavimentazioni, percorsi e scale di collegamento, nonché due tettoie, “procedendo a movimenti di terra e sbancamenti del tutto vietati nella zona in cui ricade l’immobile”.

Sempre la consulenza ha accertato che il muro di contenimento del terrapieno crollato si trovava in precarie condizioni di sicurezza in quanto fondato su un precedente muro a secco che a sua volta poggiava su terreni superficiali privi di un efficace sistema di drenaggio ed in una zona decisamente concava.

Analogamente, il muro di contenimento della terrazza sottostante, anch’esso crollato, era stato realizzato senza autorizzazione ed era fondato su terreni superficiali. Secondo quanto è emerso dalla ricostruzione dei consulenti, in questa situazione del tutto carente di sicurezza, sul terrapieno poi crollato si riversava l’acqua proveniente dal canale di gronda attraverso il foro praticato da GV.A. in seguito alla realizzazione di una tettoia la cui messa in opera aveva comportato la deviazione dell’originario canale di scolo.

Secondo quanto determinato nella sentenza quest’acqua si riversava lungo il muro di contenimento che era privo di drenaggio, così determinando una spinta aggiuntiva rispetto a quella del terreno tanto da provocarne il collasso. “In conseguenza della pendenza del terreno, al crollo di questo primo terrazzamento – scrive il giudice – sono conseguiti i crolli di quelli sottostanti”.

Riguardo alla posizione del Comune era stato chiamato in causa dai proprietari degli immobili che hanno subito i danni in quanto “ritenuto responsabile del danno, non essendo tempestivamente intervenuto a reprimere gli abusi edilizi e non avendo redatto il piano di recupero ambientale relativo all’area a rischio frane”.

Per il tribunale vero è che l’ente locale non ha redatto il previsto “Piano di Riqualificazione Ambientale” della zona franata, ma comunque non ha colpe in quanto “la redazione del predetto piano non avrebbe certo potuto evitare ovvero diminuire sensibilmente le probabilità di accadimento della frana”. Ora semmai c’è da capire: ma contro queste opere abusive il Comune cosa ha fatto?
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