Cronaca

San Giuseppe Jato, imprenditori vicini a Messina Denaro: beni sequestrati

Ancora terra bruciata attorno al superlatitante Matteo Messina Denaro. A conferma che la mafia trapanese si è oramai, contrariamente al passato, “affiliata” a quella della provincia palermitana è l’operazione scattata oggi con il sequestro di beni per un valore di un milione e mezzo di euro a tre imprenditori di San Giuseppe Jato. Sigilli ai beni di Ciro Gino Ficarotta (nella foto), al figlio Leonardo e al nipote Paolo Vivirito.

In particolare ad essere finita nel mirino della misure di prevenzione del tribunale di Trapani è l’azienda agricola di loro proprietà, oltre ai personali conti e depositi bancari. I tre gestivano un fondo a Santa Ninfa esteso per circa 60 ettari: nei confronti dei tre è stata proposta la misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per sono sospettati di appartenere a Cosa nostra.

Ciro Gino Ficarotta, di 67 anni, il figlio Leonardo, di 38 anni e Paolo Vivirito, di 39 anni, nel febbraio scorso furono arrestati con l’accusa di associazione mafiosa assieme ad altri sedici imputati nell’operazione denominata “Pionica”. Inoltre a loro furono contestati la fittizia intestazione della Vieffe, Società Semplice Agricola di San Giuseppe Jato dove Ciro era il finanziatore e socio occulto mentre gli altri due i soci ufficiali.

In quell’occasione finirono sotto accusa anche i fratelli alcamesi Vito e Roberto Nicastri, il primo la mente di un’organizzazione che riusciva a infiltrarsi tra i colletti bianchi per agganciare importanti finanziamenti nell’ambito del redditizio mondo dell’eolico. Il 67enne venne arrestato nel 1998 con l’accusa di essere un uomo al servizio della sanguinaria famiglia Brusca: venne prima condannato per concorso in associazione mafiosa a 4 anni e poi assolto.

Il terreno sequestrato rientrava tra quelli che nel 2012 i due Nicastri si aggiudicarono all’asta e che erano di proprietà di Giuseppe Salvo, parenti lontani dei cugini esattori della mafia. Una vicenda su cui si aprì un’indagine perchè si parlò di un presunto “scippo” di questo fondo terriero che effettivamente fu acquistato all’irrisoria cifra di 138.700 euro, considerando l’enorme estensione.

Il terreno poi fu rivenduto alla società agricola Vieffe che faceva capo ai due Ficarotta e Vivirito, considerati prestanome del clan di Matteo Messina Denaro: dietro infatti ci sarebbero stati Melchiorre Leone, capomafia di Vita, e Michele Gucciardi, capomafia di Salemi. La proprietà veniva venduta ad una cifra che si aggirava sui 530 mila euro, un prezzo quadruplicato in ragione dell’incremento legato allo sfruttamento agricolo del terreno e per ottenere finanziamenti dall’Unione europea sull’impianto dei vigneti, nel giro di poco avrebbero ricevuto due cospicui finanziamenti.