Cronaca

Palermo e Trapani, scandalo sanità: gare pilotate e appalti, arrestati direttore ed ex manager delle Asp(VIDEO)

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Video-intercettazioni
Misura cautelare da parte della guardia di finanza per 12 soggetti nell’ambito di un’inchiesta che ha portato a disvelare un sistema corruttivo a cavallo tra le due Asp di Trapani e Palermo. Tra gli arrestati spicca il nome dell’attuale direttore generale dell’azienda sanitaria trapanese, Fabio Damiani, 53 anni, e l’ex manager dell’Asp 6 di Palermo Antonio Candela, 55 anni ed oggi Coordinatore della struttura regionale per l’emergenza Covid-19.

Il primo ha avuto la misura degli arresti in carcere, il secondo invece è ai domiciliari. Con loro anche fedeli faccendieri e vari altri imprenditori con cui sono stati fatti i patti corruttivi. Le complesse indagini eseguite dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria delle fiamme gialle palermitane, svolte con l’ausilio di intercettazioni telefoniche e ambientali, appostamenti, pedinamenti, videoriprese, esami documentali e dei flussi finanziari, hanno consentito di ipotizzare l’esistenza di un centro di potere composto da faccendieri, imprenditori e pubblici ufficiali infedeli che avrebbero asservito la funzione pubblica agli interessi privati, in modo da consentire di lucrare indebiti e cospicui vantaggi economici nel settore della sanità pubblica.

Le articolate fasi del sistema corruttivo ruotavano intorno alle gare indette dalla Centrale Unica di Committenza della Regione Siciliana e dall’Asp 6 di Palermo, facendo emergere le trame sottese all’accaparramento di appalti milionari del settore sanitario siciliano. Nello specifico sono state analizzate 4 procedure ad evidenza pubblica interessate da condotte di turbativa, aggiudicate a partire dal 2016, il cui valore complessivo sfiora i 600 milioni di euro. Si tratta della gestione e manutenzione apparecchiature elettromedicali, bandita dall’Asp 6 del valore di 17.635.000 euro; dei servizi integrati manutenzione apparecchiature elettromedicali, bandita dalla centrale unica di committenza del valore di 202.400.000 euro; della fornitura vettori energetici, conduzione e manutenzione impianti tecnologici, bandita dall’Asp 6 del valore di 126.490.000 euro; ed infine dei servizi di pulizia per gli enti del servizio sanitario regionale, bandita dalla Cuc del valore di 227.686.423 euro.

Le spregiudicate condotte illecite garantivano l’arricchimento personale dei pubblici ufficiali infedeli e dei loro intermediari, mediante l’applicazione di un tariffario che si aggirava intorno al 5% del valore della commessa aggiudicata. Gli operatori economici vincitori delle gare, importanti società di livello nazionale, erano consapevoli e partecipi delle dinamiche criminali, dalle quali traevano un vantaggio che avrebbe remunerato nel tempo il pagamento delle tangenti.

Lo schema illecito appariva consolidato: l’imprenditore interessato all’appalto avvicina il faccendiere, nota interfaccia del pubblico ufficiale corrotto; a sua volta il faccendiere, d’intesa con il pubblico ufficiale, concordava con l’impresa corruttrice le strategie criminali per favorire l’aggiudicazione della gara; poi la società, ricevute notizie dettagliate e riservate, presentava la propria “offerta guidata”, che veniva adeguatamente seguita fino all’ottenimento del risultato illecito ricercato.

A venire a galla anche i metodi usati per aggiudicare gli appalti: venivano attribuiti punteggi discrezionali, non reali al merito del progetto presentato; avveniva poi la sostituzione delle buste contenenti le offerte economiche; e perfino il pagamento di stati di avanzamenti lavoro anche in mancanza della documentazione giustificativa necessaria; inoltre venivano diffuse informazioni riservate, coperte da segreto di ufficio.

I pagamenti delle tangenti in alcuni casi avvenivano con la classica consegna di denaro contante nel corso di incontri riservati, ma molto più spesso venivano invece mimetizzati attraverso complesse operazioni contabili instaurate tra le società aggiudicatarie dell’appalto e una galassia di altre imprese, intestate a prestanomi, ma di fatto riconducibili ai faccendieri di riferimento per i pubblici ufficiali corrotti. Per rendere ancora più complessa l’individuazione del sistema criminale approntato, gli indagati si erano spinti fino alla creazione di trust fraudolenti, con l’obiettivo di schermare la reale riconducibilità delle società utilizzate per le finalità illecite.

Il patto criminale veniva poi ulteriormente cementato grazie alle continue e sistematiche interlocuzioni che erano necessarie per gestire tutte le fasi attuative dei contratti la cui durata era ovviamente pluriennale. Nei confronti dei 12 soggetti le accuse formulate, a vario titolo, sono di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, induzione indebita a dare o promettere utilità, istigazione alla corruzione, rivelazione di segreto di ufficio e turbata libertà degli incanti.

Nell’ambito dello stesso provvedimento il gip ha disposto il sequestro preventivo di 7 società, con sede in Sicilia e Lombardia, nonché di disponibilità finanziarie per 160.000 euro, quale ammontare allo stato accertato delle tangenti già versate: le tangenti promesse ai pubblici ufficiali raggiungono, però, una cifra pari ad almeno 1,8 milioni di euro.