Sciopero della fame di Enrico Colajanni per le interdittive della prefettura che hanno anche toccato Partinico

Per anni Marco Pannella è stato irriso per le sue battaglie civili e per i suoi scioperi della fame, ma molte delle sue prese di posizione si sono poi rivelate giuste e condivisibili utilizzando un pò del senno di poi o un giusto principio civile come metro di valutazione.

La stessa cosa sta succedendo per Enrico Colajanni, fondatore ed ex Presidente dell’Associazione “Libero Futuro”, molto vicino alle posizioni dell’oramai disciolta associazione antiracket di Partinico per effetto della cancellazione dall’albo da parte della prefettura, in sciopero della fame da più di 15 giorni per protestare contro la misura interdittiva emanata dai Prefetti di Palermo Trapani, a carico delle associazioni antiracket che fanno capo a “Libero Futuro” (tra cui rientra proprio quella di Partinico, ndr).

L’accusa è di aver favorito interessi mafiosi assistendo imprenditori sospettati di collusioni con la mafia.

Enrico Colajanni non ci sta perché la sua storia testimonia il contrario, cioè un costante impegno contro la mafia e per l’assistenza alle vittime del racket. Nei territori di Palermo, Agrigento e Trapani, dal 2007, anno della fondazione dell’associazione, “Libero Futuro” ha assistito 300 vittime del racket riconosciute tali con il relativo risarcimento.

E allora perché la Prefettura ha emesso questa misura così pesante? 

Bisogna ricordare che Enrico Colajanni fu tra coloro che avanzarono pesanti critiche e accuse nei confronti del magistrato Silvano Saguto e del suo sistema di gestione dei corposi beni confiscati alla mafia, che coinvolgeva anche il Prefetto di Palermo, poi rimosso, Francesca Cannizzo. Un sistema che adesso è oggetto di una pesante indagine della Procura di Caltanissetta a carico delle stesse Saguto e Cannizzo. 

Che sia forse questo il motivo per cui è stata emessa una così pesante misura, che estromette dal campo “Libero Futuro” e allunga sull’associazione la stessa ombra collusiva che ha investito il sistema Saguto?

È il sospetto che lo stesso Enrico Colajanni avanza.

La nostra azione è sempre stata giudicata poco istituzionale, fuori dagli schemi – dice Enrico Colajanni in un’intervista rilasciata a BlogSicilia – sebbene sia sempre stata rispettosa delle leggi e delle persone. Ci siamo permessi di denunciare l’assurdità e la violenza del sistema Saguto. Il più grande scandalo della storia giudiziaria italiana – continua Colajanni – La cosa che mi appare inspiegabile è la disinvoltura con cui si muoveva la Saguto e il suo entourage, poi seguiti da Montante e dal suo sodalizio. Anche questo messo adesso sotto accusa. Sono entrambi esempi di connubio poco chiaro tra sistemi di potere, banche, servizi segreti, politica affaristica”. 

Il percorso di Libero Futuro non si è sempre inserito nell’alveo canonico delle altre associazioni di questo tipo. Per esempio, nel 2015 “LiberoFuturo” abbandonò la Fai, la Federazione antiracket italiana presieduta da Tano Grasso. Lo fece per una diversa concezione del ruolo delle associazioni antiracket. Per la FAI il loro ruolo dev’essere paraistituzionale. Per “Libero Futuro”, invece, si fonda sulle energie e sulla spontaneità della società civile. Punti di vista. Resta il fatto che la misura emessa nel luglio scorso, ha finito per sospendere dall’albo prefettizio le associazioni antiracket che fanno capo a “Libero Futuro”. 

Le motivazioni dell’interdittiva antimafia contro “Libero Futuro” e la protesta contro con lo sciopero della fame di Enrico Colajanni

Le Prefetture hanno emesso il provvedimento, perché l’associazione avrebbe assistito alcuni imprenditori sospettati di avere avuto collusioni di tipo mafioso. Diversi di quegli imprenditori sono oggi costituiti parte civile nel processo della Procura di Caltanissetta contro Silvana Saguto, Nasca Rosolino e Provenzano Carmelo. E sono gli stessi imprenditori che hanno ricevuto encomi dall’Arma dei Carabinieri e dalla Procura della Repubblica di Palermo e Trapani per il contributo offerto nei processi contro il sistema Saguto e per l’incondizionata testimonianza contro gli imputati.

Il solito gioco di chiari e scuri che caratterizza da qualche anno a questa parte il mondo dell’antimafia istituzionale.

Di certo c’è che l’interdittiva è una misura cautelare amministrativa, il cui utilizzo e la cui funzione, almeno nei termini con i quali è stata utilizzata finora, è stato criticato dalle stesse istituzioni. 

Lo stesso Colajanni, in un video su Facebook, rende noto un documento pubblico del 26 Novembre 2018, con il quale il Presidente del TAR di Catanzaro, Nicola Durante, mette in rilevo come, seppure l’interdittiva rientri nel novero degli strumenti amministrativi strategici per combattere la Mafia, si riveli controproducente nella misura in cui è una misura anticipatoria, cui non corrisponde l’adeguata velocità nello svolgimento dei processi. L’imprenditore colpito dalla misura è fuori gioco dal mercato, messo nell’impossibilità di potere svolgere il suo lavoro senza alcuna garanzia riguardo all’effettiva sussistenza dei motivi per cui la misura è stata emessa. 

“Trattandosi di una misura amministrativa cautelare – conclude Enrico Colajanni – si dovrebbe almeno aumentare il diritto alla difesa, attualmente quasi del tutto inesistente, e i Prefetti, avvertiti i pericoli di inquinamento mafioso, potrebbero chiedere alle imprese le misure adeguate per garantire la loro rimozione e solo dopo interdirle dalla normale competizione del mercato sia privato che pubblico”.

[smiling_video id=”69786″]

var url69786 = “https://vid1aws.smiling.video//SmilingVideoResponder/AutoSnippet?idUser=439&evid=69786”;
var snippet69786 = httpGetSync(url69786);
document.write(snippet69786);

[/smiling_video]