Le pene chieste dalla procura

Partinico, mazzette al commissariato, in 6 rischiano condanna

Una sola assoluzione e 6 condanne è la richiesta avanzata dal pubblico ministero Chiara Capoluongo al tribunale per il caso delle mazzette all’interno del commissariato di polizia di Partinico. A venire fuori in un’inchiesta del 2017, in seguito ad una serie di esposti anonimi, un verminaio di favori e corruzione all’interno del commissariato di polizia di Partinico con la complicità di alcuni vigilanti privati e cittadini. In questo troncone del processo in ordinario in 7 sono stati rinviati a giudizio. Solo per uno di loro, l’assistente capo di polizia Vincenzo Manzella, 49 anni di Partinico, è stata chiesta l’assoluzione dalle accuse di abuso d’ufficio, abuso di potere e favoreggiamento personale e reale, difeso dall’avvocato Antonio Terranova. La pena più alta invece è stata chiesta per l’assistente capo di polizia Giovanni Vitale, 48 anni di Alcamo: per lui chiesti un anno e 2 mesi per rifiuti di atti d’ufficio in concorso, mentre cadono le accuse di peculato in concorso, difeso dagli avvocati Enrico Sanseverino e Francesco Guagliardo.

Sei mesi ciascuno sono stati chiesti invece per l’ispettore capo di polizia Gaspare Antonio Di Giorgi, 56 anni di San Cipirello, per rifiuto di atti d’ufficio in concorso, difeso dall’avvocato Carmela Loredana Alicata, e per Vincenzo Manto, 54 anni di Partinico, accusato di introduzione abusiva nel sistema informatico, difeso dall’avvocato Marianna Carta. Richiesta di 4 mesi a testa invece per i tre vigilanti di un istituto privato, SalvatoreDavì, 61 anni di Partinico (avvocati Antonino Giallombardo e Giuseppina Liparoto), Daniele Di Maggio, 42 anni di Partinico e Marcello De Luca, 41 anni di Borgetto, 4 mesi, questi ultimi due difesi dall’avvocato Giuseppina Liparoto) tutti accusati di favoreggiamento personale. Costituita come parte offesa Matteo Rosario Imperiale, 49 anni di Partinico, difeso dall’avvocato Salvatore Bonnì.

In precedenza aveva patteggiato 4 anni di reclusione invece il principale indagato dell’inchiesta, Pietro Tocco, assistente capo di polizia, 59 anni di Alcamo, difeso dall’avvocato Bartolomeo Parrino, accusato di corruzione, abuso d’ufficio e peculato. L’indagine ha ruotato effettivamente attorno alla sua figura ed è stata ricostruita attraverso intercettazioni. Tocco ammise quasi tutte le contestazioni a lui addebitate spiegando che i suoi comportamenti erano legati al vizio del gioco, quello che lo aveva portato a spendere sino a 5 mila euro in appena 8 giorni. Ci sarebbero stati favori in cambio di denaro, come il facile rilascio di documenti e certificazioni, e persino l’insabbiamento di due denunce. Una è relativa al furto di un telefono cellulare che avrebbe commesso la suocera di un poliziotto indagato, e l’altra riguarda una rapina avvenuta all’interno di una comunità per minori di Partinico. Di fronte a questi fatti Tocco si è difeso sostenendo che lo avrebbe fatto convinto che la questione si potesse risolvere bonariamente.

Tra gli episodi anche quello di essersi appropriato, con un altro collega, di parte di merce contraffatta sequestrata nel corso di un’operazione effettuata a Balestrate. Altro episodio quello dell’illegale piantonamento di un arrestato, per l’appunto la parte civile Matteo Rosario Imperiale, da parte di vigilanti privati che attestarono poi falsamente di non averlo fatto. Il compito spettava agli agenti di polizia.